La vita è una perseverante attesa. Come viviamo il nostro presente? Prima Domenica d'Avvento Ciclo B

Con questa domenica veniamo introdotti in un nuovo tempo della liturgia, l’Avvento. Generalmente questo periodo dell’anno liturgico viene caratterizzato dall’attesa, ricordandoci che la vita è una perseverante attesa, che la vita cristiana si concentra sull’attesa del Veniente, di Colui che alla fine dei tempi dovrà definitivamente manifestarsi. La parola “attesa” potrà trarci in inganno. Attendere non equivale a dire “non fare niente” e non è un atteggiamento di chi “aspetta e spera” senza muovere neppure un dito. L’attesa, così come ce la insegna il Maestro di Nazareth, è sempre operante, costruttiva, movimentata. L’attesa è sempre preceduta dalla capacità di vegliare, di scrutare, di fare attenzione, di preparare. Se io attendo degli ospiti per una cena a casa mia, certamente non me ne sto seduto in attesa che arrivino, ma piuttosto indaffarato per riassettare la casa, per preparare i pasti, per sistemare la tavola, magari coinvolgendo tutti gli altri componenti della mia famiglia, facendo ognuno qualcosa per preparare una bella accoglienza. 
Ecco, l’attesa è sempre preceduta da una certa dinamicità. È così anche l’attesa cristiana. A maggior ragione per il fatto che Gesù non ha mai svelato il segreto del futuro, che solo Dio conosce. Al contrario, Gesù ha sempre invitato a saper vivere bene il presente. D’altronde il futuro lo si potrà vivere bene se si vive bene il presente. Il futuro è opera dell’attesa operosa e operante del presente di ciascuno di noi. Significative le immagini dei servi e del portiere che Gesù ci presenta nella pagina del Vangelo di questa prima domenica di Avvento. Con il suo stile narrativo Gesù ci parla di un uomo che dovendo partire e dovendo mancare per un tempo imprecisato, affida e ai suoi servi e al suo portiere dei compiti perché tornando possa trovare tutto ordinato e non si faccia percepire in modo traumatica la sua assenza, infondendo così la speranza del suo certo ritorno. D’altra parte si tratta di un’assenza limitata. Ogni uomo, e in modo particolare ogni credente è come come quei servi e quel portiere che non gozzovigliano durante l’assenza del loro padrone, ma sono impegnati a tenere sistemata la casa e a tenere desta la speranza del suo ritorno. Il portiere in modo del tutto particolare ha il compito di ricordare che il padrone della casa non è assente per sempre ma tornerà da un momento all’altro. A chiunque ci chiede quando arriverà il Signore, noi siamo chiamati ad infondere la speranza aiutandolo a prepararsi, a sistemare, a organizzare la festa del ritorno, quindi a vegliare, a perseverare nel cammino, in una vita impegnata. 
Come viviamo il nostro presente? Siamo perseveranti nelle nostre responsabilità per costruire un futuro migliore? Quale il nostro fattivo impegno e la nostra perseverante collaborazione per organizzare un futuro adeguato a tutti? 
Siamo abituati a sentire promesse di qua e di là. Sembra di vivere un’eterna campagna elettorale. Proclami di qua e di là, sembra di voler avere un futuro migliore senza far niente: “Noi faremo... Vi daremo... Avrete... Vedrete... Noi abbasseremo le tasse...” e via discorrendo, quasi quasi che chi le proclama queste parole si mette al posto di Dio e gli altri li tiene a bada perché osservi quanto accade, rendendo così passivi i popoli uditori. Per lo più questi sono i ragionamenti dei nostri responsabili ad ogni livello, soprattutto politico. Discorsi nauseanti perché impregnati di promesse che non si possono mai e poi mai realizzare. Dovrebbero cambiare il proprio stile linguistico, magari affermando: “Impegniamoci a lavorare insieme... Costruiamo insieme... Collaboriamo insieme... Uniamo le nostre forze intellettive e fisiche per costruire un futuro e un mondo migliore... Adoperiamoci insieme...”. 
Don Onofrio Farinola


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