Meditazioni davanti al Presepe di padre Modesto M.I.

Martedì 4°settimana avvento A
I PASTORI nel presepe

I pastori nel presepe sono personaggi importantissimi. Sono personaggi fissi e obbligati e dobbiamo dire che un presepe senza pastori non è un presepe. 
"C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto,...Un angelo del Signore si presentò a loro ...«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia..."
Pastori! una professione ritenuta spregevole. Elencata tra i mestieri proibiti, infamanti cosi come i barbieri, soldati, prostitute, esattori delle imposte! insomma rientrano nella categoria dei peccatori. Eppure, primi invitati, destinatari in esclusiva della lieta notizia. Gesù è nato non soltanto come un piccolo povero, ma come un piccolo nomade e si manifesta appunto per primo a un gruppo di nomadi.  Si fa annunciare dagli angeli a questi "esclusi". Gesù capovolge l'elenco delle nostre tabelle. I grandi, ai suoi occhi sono piccoli, anzi insignificanti. I "Titolati" appaiono trascurabili. Gli ultimi diventano primi, e gli esclusi clienti privilegiati. La novità cristiana, la grande notizia universale di salvezza, viene annunciata, o diventa proprietà di quelli che stano "fuori". Sono i primi celebranti della liturgia dei poveri. Proprio quelli che non sono ammessi nel Tempio vengono invitati a contemplare il Dio fatto carne. I nomadi che vagano qua e là sanno trovare la strada giusta che porta al posto giusto aiutato dall'Alto. "I pastori che vengono sono la Chiesa dei poveri; l'incontro fra il Cristo che non parla e i pastori che non parlano, o dicono piccole cose, è la prima liturgia della Chiesa dei poveri" (U. Vivarelli)
I Pastori nel presepe indicano con chiarezza le preferenze di Dio, la bocciatura inesorabile delle nostre liste di invitati perché Dio gradisce la presenza e la vicinanza dei "nessuno", delle persone che non contano. Ci insegnano che non dobbiamo considerarsi aventi diritto e osservare gli altri con supponenza e degnazione. Ci lasciano  intuire che c'è sempre qualcuno magari disprezzato o trascurato da noi, che è vicino al bambino più di quanto pretendiamo esserlo noi. Infine, i pastori ci ricordano il dovere di accogliere i diversi, gli esclusi, gli squalificati, gli intoccabili. 
Sorelle carissime, guardiamo in direzione dei pastori presenti nel presepe, e mormoriamo dicendo: Gesù, quanto siamo lontani da Te... con la nostra pretesa di escludere, finiamo per essere noi gli esclusi, rimanere all'esterno del presepe nonché del vangelo e essere addirittura buttati fuori dal tuo regno. All'udire la voce degli angeli, i modesti personaggi si sono messi in movimento. io invece e purtroppo, ho maturato la vocazione del sedentario.  Nessuna musica di angeli riesce più a svegliarmi, scuotermi, mettermi in piedi. La mia fede è statica, la speranza compressa in spazi ristretti, la carità incasellata in rigidi schemi. Un vita senza slanci, senza sussulti, vaccinata contro gli imprevisti. Tutto programmato, regolamentato, calcolato. Niente sorprese. Non amo il movimento, nessun gesto insolito o spontaneo. Gesù non so se nel mio caso bastino la musica, i canti degli angeli per mettermi in posizione verticale ma vorrei che il Natale fosse l'occasione per recuperare il gusto di camminare.


Lunedì 4°settimana avvento A
La PECORA nel presepe

Questo animale è molto presente nella Bibbia, sia Nel Vecchio che nel Nuovo Testamento. Le pecore, vengono spesso usate come sacrificio, ma sono anche simboli di ricchezza. Le pecore forniscono il latte, la carne, la lana e la pelle, il materiale necessario per avere una vita confortevole. Le pecore sono anche animali docili, calmi, pazienti e, se addestrati, facilmente influenzabili. Sono praticamente indifese contro i predatori e per restare al sicuro necessitano di un pastore
L'Agnello rimanda necessariamente al destino sacrificale di Gesù, è profezia inquietante della sua Passione: "ero come un agnello mansueto che viene portato al macello" (Ger 11, 19). La Pecora ricorda al futuro Pastore il suo compito piuttosto impegnativo, il suo programma di sollecitudine verso il gregge: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore... conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me..."(Gv 10, 11-15)
La pecora nel presepe ci ricorda il dovere della mitezza, della dolcezza, della mansuetudine, dell'umiltà. Ci richiama alla mente che Gesù ha proclamato: "beati i miti, perché erediteranno la terra" (Mt5,5).  Chiariamo subito, la dolcezza non è una caratteristica di persone passive, senza nerbo, senza slanci, senza passioni, senza emozioni. Il mite non è un rassegnato, un impotente, un incapace di affrontare i problemi più scottanti e di prendere posizione dinanzi all'ingiustizia, alla sopraffazione, alla menzogna, all'ipocrisia.  Gesù non viene per beatificare l'insipidezza e l'inerzia. La mitezza è espressione di forza. Una forza dominata. la dolcezza è una forza incanalata, tenuto sotto controllo. I miti non sono accettati nella nostra società. Perché il loro atteggiamento costituisce un giudizio severo e una condanna per noi. In una società in cui si grida, si prevarica sugli altri, ci si vuole imporre con tutti i mezzi, ci si accanisce a schiacciare- anche verbalmente- gli avversari, la dolcezza, la moderazione, sembrano fuori moda. Per essere miti, bisogna andare contro corrente. Qualcuno ha detto che la dolcezza è una prerogativa tipicamente femminile. Sono d'accordo, soprattutto perché ho la convinzione che siano le donne, normalmente, ad essere dotate di maggior forza. Non lasciamoci abbagliare. I cosiddetti uomini dal "pugno forte" che urlano per impressionare, che pretendono di farsi rispettare ricorrendo alla durezza, che si illudono di conferire efficacia alle loro parole con la chiassosità, sono in realtà deboli. 
Caro Gesù, gli elogi nei confronti della pecora si sprecano, e risultano eccessivi al punto da apparire un po' sospetti. Sembra che  assommi in se tutte le qualità. Ma tu sai che questo animale non è immune da difetti e in modo particolare quello di scartare, deviare, sbandare, sottrarsi allo sguardo del pastore, allontanarsi magari alla chetichella dal gregge e vagare per conto proprio fino a smarrirsi. Io mi riconosco in questa tendenza. Ecco io mi colloco nel presepe  davanti al futuro Pastore come pecora con tendenza ostinata alla fuga. Troppe volte, pure riconoscendo la voce del Pastore, mi lascio incantare da altre voci più suadenti; vado dietro, spensieratamente, a estranei che non sanno nulla di me. Seguo personaggi che mi propongono pascoli più allettanti per le mie voglie. oppure ho la pretesa di bastare a me stesso, di inventare una mia strada di facilità, divergente da quella, aspra, che vuoi farmi percorrere Tu. Signore, ho bisogno che tu mi guardi. Guardami bene mi raccomando. Imprimiti nel cuore i miei lineamenti. io sono la pecora indocile che ti farà tanto camminare con le sue fughe insensate, le sue deviazioni capricciose. Sto qui nel presepe, come pecora perduta e ritrovata in continuazione, fuggita e riportata a casa, sbandata e riacciuffata. Non ti prometto di stare sempre con Te. Vorrei soltanto provare sempre la gioia di sapermi cercato da Te e avere il coraggio di lasciarmi trovare. E, quando mi avrai recuperato e riportato nel gregge per l'ennesima volta, non esitare a usare il bastone e il vincastro. 

Domenica IV Settimana di Avvento
Il BUE nel presepe

Attaccato all'aratro, il bue, sovente in coppia, percorre il campo in tutta la sua lunghezza, lasciando nel terreno un solco profondo. Arrivato ad un estremità, ripercorre il cammino in senso inverso, con metodo, con geometrica precisione, solco dopo solco. Passo lento, sforzo costante, fatica, regolarità. è la nostra vita di tutti i giorni, nei suoi ruvidi aspetti di lavoro serio, spesso nascosto o comunque poco appariscente, durezza, ripetitività, monotonia, perfino noia. Le solite cose ordinarie, le solite preoccupazioni per nulla esaltanti, i soliti impegni gravosi, solite giornate in cui tutto sembra già fissato in partenza. 
Si tratta di realizzare la propria vocazione con i materiali comuni che ci fornisce la nostra vita ordinaria. Tendere alla santità nel quotidiano, attraverso il quotidiano, insieme al quotidiano: arrivare a Dio con gli stracci, la polvere, il sudore del nostro quotidiano. Il Bue è a disposizione per le faccende più gravosi, i servizi più umili. Non partecipa alle sfilate, non rivendica ruoli importanti. Non ha la pretesa di brillare. Affidabile, modesto, discreto. Il bue ci ricorda che nella vita ci vuole costanza, determinazione, tenacia, applicazione, pazienza, disposizione al sacrificio, voglia di ricominciare sempre da capo.  Ma sopratutto: impegno ad arrivare fino in fondo. Bisogna rinnegare la fretta e riscoprire la lentezza. Per tracciare un solco profondo, dove sia possibile nascondere il seme, la velocità non serve. serve piuttosto la regolarità.  Spesso la fretta dice superficialità. La lentezza invece è in rapporto alle profondità. Non importa giungere prima e neppure arrivare dappertutto. è necessario, piuttosto, condurre a termine l'impresa cominciata, per quanto minuscola.

L'ASINO nel presepe

Tra gli animali che ci servono l’asino occupa l’ultimo posto. Meno bello e meno nobile del cavallo, meno robusto del bue, non è altro che il piccolo servo del povero, con la sua montatura, il suo tiro, il suo essere bestia da carico; e mentre altri animali, per la finezza e la vivacità del loro istinto, imitano in qualche modo l’intelligenza umana, l’asino rimane nell'opinione degli uomini come l’emblema dell’ignoranza e della limitatezza dello spirito.
Prima di tutto, ricordiamo bene che per entrare a Gerusalemme, Cristo ha scelto un asino: indica un orientamento di fondo. l'adozione di uno stile di umiltà e semplicità, e il ripudio di ogni forma di trionfalismo, esibizionismo. L'asino nella stalla di Betlemme si collega cosi con quello scelto per l'entrata assai poco trionfale in Gerusalemme.
L'asino ci suggerisce che per il Signore niente è troppo poco... la causa della fede non progredisce con il troppo ma con il poco. Gesù avanza, guadagna terreno nel mondo, silenziosamente, lentamente, discretamente. Vuole dominare senza forzatura, nessuna impresa clamorosa, nessuna battaglia. 
Inoltre, vicina a Gesù Bambino, questo animale sta a rappresentare le innumerevoli creature bastonate, umiliate, sfruttate ignobilmente sulla terra, maltrattate dalla vita dai propri simili.  W. Shakespeare nel suo libro "la commedia degli eroi" interpreta cosi i sentimenti del somaro: "sono proprio un asino... ho servito l'uomo dal momento della sua nascita fino a questo istante e dalle sue mani, per il mio servizio, non ho ricevuto altro che botte. Quando fa freddo mi scalda con le sue bastonate; quando dormo, mi sveglia a bastonate; quando sono sdraiato, mi fa alzare a bastonate..."  L'asino è il rappresentante di tutte le vittime di soprusi, ingiustizia, prepotenze, abusi... nel presepe esprime la presenza di tutti gli uomini sottoposti, nel corso dei secoli alle torture brutali.
L’asino non è che un povero servitore schiacciato dai fardelli, che si disprezza e si prende in giro; ciò non importa, è il simbolo delle anime semplici ed umili ed è di esso che è stato scritto: ‘Dio comunica i suoi segreti ai semplici’”.
Signore, non faccio fatica a riconoscermi nell'asino che hai fatto requisire per il tuo ingresso a Gerusalemme. Prima di tutto perché vuoi sciogliermi. Slegarmi dalle placide abitudini, dalla paura di compromettermi, dalle chiacchiere inconcludenti, dalla perpetua indecisione. Vorrei essere l'asino che sta lì, pronto a venire impiegato come e quando  e quanto a te piacerà e poi rimandato indietro perché non serve più.
Signore, mi riconosco nel bue del presepe e voglio stare accanto a te. In silenzio. mi accontento di pregare con gli occhi. mi basta guardarti Signore. Signore sono il tuo bue e ne provo gioia. Voglio rimanere una bestia da fatica, tirare la solita carretta senza lamentarmi, lasciando agli altri l'onore di esibirsi nelle parete trionfali. 

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