Festa del Beato Luigi Tezza



L’Apostolo di Lima

Dopo l'esperienza di Vicario generale dell'Ordine camilliano e la fondazione della Congregazione delle Figlie di San Camillo, sembrava ormai che l’attività di Padre Tezza fosse giunta al termine, in realtà l’attendeva un’altra importante tappa. 
Nel 1900, all’età di 59 anni, dopo un breve soggiorno in Francia, i Superiori lo inviarono in Perù in qualità di Visitatore apostolico della comunità camilliana di Lima. Qui i Camilliani erano presenti da quasi due secoli, esercitavano il loro ministero al fianco dei moribondi. La gente amava appellarli «i padri della buona morte». Da molto tempo , però, era avvenuto il distacco dalla sede centrale dell’Ordine, con conseguente rilassamento dello spirito religioso. Gli stessi religiosi verso la fine del 1900 chiesero di essere riuniti a Roma. Occorreva però riportare la fondazione  allo spirito primitivo. A tal fine il p. Tezza, che godeva sempre della fiducia dei Superiori, venne inviato in quella città, per compiere quell’ardua e delicata missione di riforma insieme al confratello p. Angelo Ferroni.
Giunti a Lima, i due inviati affrontarono e risolvettero le cose più urgenti e dopo due mesi di permanenza, come era stato stabilito, si organizzarono per rientrare in patria ma l’Arcivescovo e il Delegato apostolico della Santa Sede, il futuro Card. Pietro Gasparri, chiese a p. Tezza di restare per portare a compimento l’opera di riforma.
Così, mentre p. Ferroni tornò in Spagna, egli ancora una volta chinò il capo alla volontà di Dio e si affidò alla Provvidenza. Il suo soggiorno a Lima sembrava doversi prolungare per un po’ di tempo, invece divenne definitivo; vi rimase infatti per 23 anni, fino alla morte. E fu proprio in questa città che egli profuse per lunghi anni tesori di carità e di amore di Dio.
Svolse il suo compito di riformatore con estrema prudenza, partendo dalla efficace formazione dei giovani mentre con la mitezza e l’umiltà conquistò i più anziani e li ricondusse al fervore e alla fedeltà iniziali. 
Per due anni non uscì fuori dalle mura domestiche; quando le cose cominciarono ad andar bene il suo apostolato si aprì anche all’esterno. Si dedicò all’assistenza dei malati, specialmente quelli poveri, sia nelle case private che negli ospedali e nelle carceri spronando i confratelli a fare altrettanto. «Oltre alla cura di quattro ospedali - si legge in una sua lettera - e il servizio delle rispettive chiese, abbiamo la nostra chiesa frequentatissima, il carcere femminile, la scuola correzionale, la scuola normale e altri quattro collegi per le confessioni e l'istruzione religiosa, senza contare le chiamate continue di giorno e di notte per l'assistenza dei moribondi a domicilio in città e fuori...». Era confessore e direttore spirituale nel seminario dell’Archidiocesi e di diverse Congregazioni religiose; aiutò con successo un’altra fondatrice, Teresa Candamo, in difficoltà per la neo-istituzione delle Canonichesse della Croce, oggi fiorente. Presso la  Diocesi fu più di una volta nominato Consultore teologo, mentre presso la nunziatura apostolica era ricercato come prezioso consigliere.
Nel 1910 p. Tezza fu libero da ogni incarico di responsabilità, per cui poté ancor meglio dedicarsi alle opere di carità verso i poveri. E la sua carità divenne con il passare degli anni sempre più matura e sensibile. I testimoni oculari riferirono a quale  grado di finezza era giunto il suo amore verso il prossimo. Una vecchietta disse che «il padre era anche una madre» a motivo delle delicatezze che usava  nei suoi confronti. Lei stessa soffriva di solitudine perché non aveva più nessuno e viveva da sola. Un giorno il padre Tezza le portò alcuni uccellini in una gabbia perché le facessero compagnia e la rallegrassero con il loro cinguettio. Questa delicatezza nei suoi confronti la commosse.  Aiutava una famiglia molto povera ed indigente usando l’accortezza di non mortificarla e non far pesare la loro condizione. Quando passava gli gettava, segretamente, i soldi dalla finestra aperta. Nel suo confessionale aveva creato una sorta di piccola apertura, attraverso la quale regalava somme di denaro a padri o madre di famiglia molto poveri. Il suo modo di parlare era molto dolce, specialmente con i vecchietti abbandonati. Spesso questi si sentivano chiamati «angelo mio», «gioia mia». P. Tezza riusciva ad essere spiritoso anche in situazioni difficili: un giorno di carnevale un operaio gli gettò da una impalcatura un secchio di acqua sudicia. Lui, senza alterarsi minimamente, si tolse il cappello, e con un leggero cenno del capo, si rivolse a lui dicendo: “Grazie tanto”.
La sua attività discreta e perseverante, luminosa, impregnata di amore di Dio e di misericordia, unita a fermezza e bontà finì per farne un uomo autorevole agli occhi del popolo, un personaggio conosciuto e amato da tutti, anche dagli anticlericali. Il Card. Gasparri lo definiva «uomo ispirato da Dio e provvidenziale per Lima», dalla gente era appellato come l’apostolo di Lima o il santo di Lima.
Il segreto di tale successo lo si deve ricercare solo nel suo amore verso Dio, che traspariva anche esternamente, cosa che diveniva tangibile quando celebrava la S. Messa. L’Eucaristia presieduta da p. Tezza era sempre molto partecipata e i fedeli al termine della celebrazione lo avvicinavano per parlargli, chiedere un consiglio o un aiuto. Quando divenne anziano e malato il suo superiore, pensando di risparmiargli le forze gli chiese di celebrare la Messa ad un’ora sempre diversa. Ma i fedeli, pur di vederlo, escogitarono un piano e presero accordi con il sacrestano della chiesa: quando  p. Tezza si apprestava a celebrare, questi faceva suonare le campane in modo diverso dal solito così i fedeli capivano e si affrettavano a raccogliersi in chiesa.
Dopo tre anni d'infermità nella città di Lima p. Tezza, si spense serenamente il 26 settembre 1923. In tale occasione circolò in Lima un’immagine ricordo che sul retro portava la seguente iscrizione:  «Fu amato come Padre e venerato come Santo. Egli non è più in mezzo a noi, però dalla sua  tomba ci fa udire i suoi insegnamenti. La sua figura e il suo comportamento erano quelli di un angelo; la sua parola quella di un ministro del vangelo; il suo cuore era scrigno di nobilissimi affetti; la sua amicizia fu una catena d'oro che imprigionò senza violenza migliaia di cuori e la sua missione è sempre stata portatrice di salvezza. Passò in mezzo a noi come una visione celestiale, sempre buono e umile, sempre affettuoso e caritatevole. La fede era il principio delle sue opere, la bontà lo rivestiva come un manto e come un diadema  lo coronava».
Oggi il suo corpo è custodito nella Cappella della Casa generalizia delle Figlie di S. Camillo, a Grottaferrata (Roma), accanto a quello della cofondatrice, Madre Giuseppina Vannini.


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